I cittadini si stanno mobilitando per essere i primi ad esercitare pressioni sui loro governi affinchè cambino rotta in favore dell’ambiente.

La questione ambientale si è decisamente evoluta nel corso degli ultimi decenni, individuando quelle che oggi chiamiamo le “sfide della sostenibilità”. Tra queste ha certamente un forte e crescente peso la componente sociale, che ha dettato l’evoluzione di concetti come “giustizia climatica”, implicando che la tutela dell’ambiente e l’azione sul cambiamento climatico siano questioni di cui si deve occupare la legge, e dalle quali discendono diritti e doveri.

Proprio da questa svolta giuridica nasce la domanda fondamentale: chi sono i soggetti del diritto ambientale? La risposta, come è tipico della materia giuridica, è complessa e in evoluzione, ma ci permette di vedere quali siano alcuni degli attori che ad oggi hanno maggiore titolo a richiamare le autorità pubbliche locali a rispettare accordi internazionali per la neutralità climatica e obiettivi di sviluppo sostenibile.

Si tratta proprio degli enti che operano nel mondo del sociale: Associazioni ed Organizzazioni non governative, ad esempio, possono appellarsi alle corti di giustizia, in ultimo grado anche alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU), per chiedere che si pronunci su casi di violazione dei diritti legati alla giustizia climatica.

La giurisprudenza è ricca di esempi di questo tipo, ed in particolare nel 2024 abbiamo già avuto tre esempi storici di cause portate dai cittadini all’attenzione della CEDU, uno dei quali ha segnato un punto importante a favore dei gruppi di cittadini che si attivano per chiedere maggiore impegno per proteggere l’ecosistema e le persone dai cambiamenti climatici.

Lo scorso 9 aprile la corte si è pronunciata su tre cause di giustizia climatica.

La prima era stata impugnata dal sindaco di un piccolo comune francese, il quale contestava allo Stato francese di non aver adottato tutte le misure idonee per mantenersi entro i livelli massimi di gas serra che erano stati fissati a livello nazionale.

La seconda vedeva sei giovani portoghesi nati tra il 1999 e il 2012 che accusavano ben 32 paesi europei di aver adottato politiche climatiche inadeguate.

L’ultima è un’azione legale che ha ribaltato lo schema dilagante nel dibattito attuale, che vede le giovani generazioni come le più attive nella difesa dell’ambiente in opposizione a quelle precedenti, tacciate di inerzia e deresponsabilizzazione. Le protagoniste sono le anziane signore dell’associazione svizzera KlimaSeniorinnen, che hanno accusato il governo di inazione climatica: di non avere, cioè, una strategia climatica abbastanza ambiziosa da tutelare la salute fisica e mentale della popolazione, in particolare delle persone anziane.

È stata infatti proprio quest’ultima l’unica delle azioni legali a concludersi con una sentenza a favore, con la condanna del governo svizzero, considerato colpevole di inazione climatica.

L’esultanza, tuttavia, è stata condivisa anche dai protagonisti delle due cause giudicate inadempienti, e da tutto il mondo dell’attivismo per il clima, in quanto questa decisione potrebbe costituire un precedente importante anche per tutti gli altri Stati membri del Consiglio d’Europa.

La forma associativa consente di superare l’ostacolo del diritto per cui singoli cittadini non possono appellarsi alla Corte per questioni di giustizia climatica se non nel caso in cui abbiano subito direttamente le conseguenze dei danni ambientali provocati.

In questo senso dunque, gli attori del tessuto sociale hanno un grande potenziale come vettori di cambiamento, sia in termini di sensibilizzazione e presa di coscienza della collettività, sia come catalizzatori di attenzione e di soluzioni per il territorio in cui lavorano.

Lo scorso 9 aprile la Corte si è pronunciata su tre cause di giustizia climatica.

La prima era stata impugnata dal sindaco di un piccolo comune francese, il quale contestava allo Stato francese di non aver adottato tutte le misure idonee per mantenersi entro i livelli massimi di gas serra che erano stati fissati a livello nazionale. La seconda vedeva sei giovani portoghesi nati tra il 1999 e il 2012 che accusavano ben 32 paesi europei di aver adottato politiche climatiche inadeguate.

L’ultima è un’azione legale che ha ribaltato lo schema dilagante nel dibattito attuale, che vede le giovani generazioni come le più attive nella difesa dell’ambiente in opposizione a quelle precedenti, tacciate di inerzia e deresponsabilizzazione. Le protagoniste sono le anziane signore dell’associazione svizzera KlimaSeniorinnen, che hanno accusato il governo di inazione climatica: di non avere, cioè, una strategia climatica abbastanza ambiziosa da tutelare la salute fisica e mentale della popolazione, in particolare delle persone anziane.

È stata infatti proprio quest’ultima l’unica delle azioni legali a concludersi con una sentenza a favore, con la condanna del governo svizzero, considerato colpevole di inazione climatica.

L’esultanza, tuttavia, è stata condivisa anche dai protagonisti delle due cause giudicate inadempienti, e da tutto il mondo dell’attivismo per il clima, in quanto questa decisione potrebbe costituire un precedente importante anche per tutti gli altri Stati membri del Consiglio d’Europa.

La forma associativa consente di superare l’ostacolo del diritto per cui singoli cittadini non possono appellarsi alla Corte per questioni di giustizia climatica se non nel caso in cui abbiano subito direttamente le conseguenze dei danni ambientali provocati.

In questo senso dunque, gli attori del tessuto sociale hanno un grande potenziale come vettori di cambiamento, sia in termini di sensibilizzazione e presa di coscienza della collettività, sia come catalizzatori di attenzione e di soluzioni per il territorio in cui lavorano.

Fonti:

https://www.lifegate.it/corte-europea-diritti-uomo-giustizia-climatica

Aarhus convention https://unece.org/environment-policy/public-participation/aarhus-convention/text